Poesia I Muri, comunità ectoplasmatica e sogni da non perdere nella poetica di Andreina Trusgnach
Aggiornato il: gen 21
Queste poesie inedite di Andreina Trusgnach fotografano lacerazioni intime e personali, ma anche naturali e regionali: dall’individuo si estendono alla comunità nel giro di pochi versi. In un’email delicatissima ed esaustiva, la poetessa di origine slovena mi spiega la genesi di queste composizioni: “Se posso inquadrare le prime tre, ti dico che sono il frutto di una mia ennesima passeggiata verso Cisgne, un tipico paesino di sei case della mia Valle del Cosizza, fatto abbandonare da una politica scellerata dopo il terremoto del 1976. Sembrerà pazzesco ai più, che la fine di un paese così piccolo possa provocare tanto dolore e che questo dolore duri ancora dopo decenni, ma così è, per noi appartenenti alla minoranza linguistica slovena: la fine di questo paese è una cruda immagine, seppur in miniatura, della vicina fine della nostra comunità”. Interessante è notare che le poesie della Trusgnach, perfettamente bilingue, sono inizialmente sempre scritte in sloveno e solo successivamente tradotte in italiano, quasi a voler mantenere forte e naturale questo legame con le origini che è non solo linguistico e semantico, ma anche e soprattutto identitario.

Questi scritti, allora, sembrano murales di protesta velata e di preghiera allo stesso momento, su muri stanchi e feriti, ogni anno più fragili, che quasi si sgretolano solo a guardarli o a leggerli; muri “in bilico/ fra il rimanere in piedi/ o/ finalmente arrender[si]”. Difatti, l’autrice, donando un’ulteriore nota di lettura, commenta: “Anche i nostri muretti a secco in montagna si stanno sgretolando, abbandonati, senza manutenzione... molte volte la causa è proprio degli alberi che vi hanno radicato e negli anni sono cresciuti troppo: sfaldano il muro con le loro radici ma, nello stesso tempo, per un certo periodo, trattengono in qualche modo ancora vicine le pietre...”
E allora è questione di “escogitare una necessaria soluzione” per starsene insieme, i muri come gli esseri umani, “per trattenere questi [nostri] sassi vicino”, e cioè stare uniti, non perdere tasselli; “non perdere i sogni”, perlomeno non ancora. In questo bisogno di completezza, consapevolmente inattuabile ma sempre desiderato dall’essere umano, è impossibile non ricordare la poesia di Mark Strand Tenere Insieme Le Cose, con cui questi versi entrano empaticamente in dialogo.
Vi è un senso di soffocamento, sottile, quasi ectoplasmatico, che, come un fantasma, va e viene, appare e scompare, ma resta innegabile e perpetuo nella sua evanescenza. E così, le poesie trusgnachiane si colorano e nello stesso tempo sono tenute insieme da “grovigli di edera” e “spudorate liane”, mentre la morale della favola arriva micidiale, come una ghigliottina: “il muschio nasconde qualcosa”. Muri, natura, case ed esseri umani sono tutti chiamati a prendere coscienza delle cose nascoste, siano esse nel sottosuolo o in bella vista, sott’acqua o in superficie. La vita è un iceberg, ciò che sta sotto non lo vediamo; eppure, a volte, come nei terremoti, ne sentiamo le scosse e ne percepiamo le tragedie anche ad anni di distanza.
È però possibile intravedere una luce in fondo al tunnel, brilla come un faro nella notte, e si tratta di “cercare un seppur utopico modo/ per rimanere in piedi”. Restare bene in equilibrio con i piedi per terra, rimanere con tutte le parti al completo. Ancora una volta l’autrice sembra scegliere l’unità, l’assemblaggio, il risultato finale di un puzzle finito con tutti i suoi pezzi al posto giusto, nonostante tutto, nonostante le cose nascoste e il muschio che pervade muri e giornate. L’unione dei pezzi mancanti in qualche modo vince contro morte, sdoppiamento e disintegrazione.
Ci viene poi lanciata addosso un’ulteriore domanda esistenziale, aperta a diverse interpretazioni: “Che c’entra/ oggi/ il rumore di un aereo/ lassù?”. Il quesito potrebbe chiamare in causa una serie di immagini diverse, dalla guerra ad un semplice aereo che, a modo suo, passeggia nel cielo; ad ancora un aereo di carta che spicca il volo per deragliare subito dopo; al rumore della società moderna che non smette mai di parlare; all’inquinamento globale e il resto aggiungetelo voi. Quello che so è che queste poesie dipingono un quadro raffinato in cui gli opposti danzano armoniosamente in un doloroso idillio che smaschera l’industrializzazione umana e la bellezza della natura. L'immagine che ne esce è ossimoricamente spettacolare: da una parte, i rovi che si tengono per mano con il “palo dell’elettricità mutilato” e, dall’altra, “i vecchi ciliegi/ in fiore”.
È ora di indossare le nostre scarpe migliori, per avviarci verso la meta finale, in un cammino di Santiago tremendamente umano dove la poesia serve come torcia per illuminare cose nascoste, come bussola per dirigerci verso la tragicità e la meraviglia del mondo moderno: un “pellegrinaggio silenzioso/ verso il paese che non c’è più”.
E infine bisogna stare attenti, non abbassare mai la guardia, non lasciare le cose all’aria, in balia degli eventi, tenerle insieme, prendersene cura, perché le formiche sono sempre in agguato e si fregano le caramelle che riponiamo sulle mensole, dimenticate, e ci lasciano le cartine, vuote. È quasi come se la vita e la natura di rimbalzo, ci portassero via tutto, quando noi siamo impegnati a guardare da un’altra parte, in un mondo dove a tutti, anche al vento, “rubano il sogno di ciò che sarebbe potuto accadere” e “scarpe bellissime” esistono trionfanti, ma “rimangono nella scatola”, al sicuro, a giocare a nascondino con i nostri progetti.
Nota di lettura di Sara Comuzzo
Traduzioni di Andreina Trusgnach
***
Zid
San te nazaj ušafala
donas
pa zlo buj trudnega
ku lan
šele buj na špicah
med ostat pokoncu
al
ranjen ku k' si
končno se podat
an
v kupcu brez smisla
se zgubit za nimar
Koranine
tistega tojga starega dreva
te ubivajo
- šigurno de vieš! -
le tiste koranine
ki do sada
so te objemale takuo mocnuo
le tiste
ki do sada so te daržale pokoncu
Ušafat no vižo
ušafat no vižo!
Vekuštat no potriebno rešitev
za pardaržat tele moje kamane blizu
Na smien zgubit sanje
Na smien še zgubit sanje!
*
Il muro
Ti ritrovo
oggi
ma molto più stanco
dello scorso anno
ancora più in bilico
fra il rimanere in piedi
o
ferito come sei
finalmente arrenderti
e
e
in un cumulo informe
perderti per sempre
Le radici
di quel tuo vecchio albero
ti stanno uccidendo
- certo che lo sai! -
quelle stesse radici
che finora
ti hanno abbracciato così forte
le stesse
che finora ti hanno tenuto in vita
Trovare un modo
trovare un modo!
Escogitare una necessaria soluzione
per trattenere questi miei sassi vicino
Non devo perdere i sogni
Non devo ancora perdere i sogni!
***
Driev
Zaries
ti nie bluo zadost
s koraninan
vstopit v stuolietni zid
an neusmiljeno posilt
špranje med kamanan
Previc nadužno si pustu
de so te počas počaso
zacjefale
krotice brušjana
an opjuskala
lazina brez špota
grede ki mah
na kamanah par tojih nogah
skriva kjek
ki nieso samuo pokrive
ki nie samuo garbida
Vemislit kjek
vekuštat na naglin kjek
Ušafat druge jame
med kamani starega zidu
gledat adno četud nemogočno vižo
za ostat pokoncu
Za na umriet
Za na še umriet
*
L'albero
Davvero
non ti è bastato
con le radici
entrare nel muro secolare
violentarne inesorabilmente
le fenditure fra i sassi
Troppo ingenuamente
ti sei lasciato pian piano
stritolare
da grovigli di edera
e schiaffeggiare
da spudorate liane
mentre il muschio
sui sassi ai tuoi piedi
nasconde qualcosa
che non sono solo le ortiche
che non sono solo i rovi
Inventarsi qualcosa
escogitare velocemente qualcosa
Trovare altri anfratti
fra le pietre dell'antico muro
cercare un seppur utopico modo
per rimanere in piedi
Per non morire
Per non morire ancora
***
San bla tiela samuo ticjove pietje
Ka ima par tin
donas
guč reoplana
tan gor
čez garbido
čez nesrečnin kolan od letrika
med starin cvetočin
čeriešnjan?
Niema glih nič par tin
kar tiho ruoman
pruot vasi ki jo nie vic
pruot stuolietnemu zidu
ki so ga ščedle ogromne koranine
nesrečnega dreva
ki se je meu za njega parjatelja
San srecjala koščicje staze
pokrite z bielimi
glih martvimi čeriešnjovimi rožami
an san popeštala mocnuo
za pustit moje sledi
na mokri zemlji
No znamunje
do druzega daža
bo pričalo
de ist
niesan pozabila
*
Avrei voluto solo il canto degli uccelli
Che c’entra
oggi
il rumore di un aereo
lassù
oltre i rovi
oltre il palo dell’elettricità mutilato
fra i vecchi ciliegi
in fiore?
Non c’entra proprio niente
con questo mio pellegrinaggio silenzioso
verso il paese che non c’è più
verso il muro secolare
divelto dalle enormi radici
di un albero sfortunato
che gli si diceva amico
Ho incrociato tratti di sentiero
coperti di bianchi
fiori appena morti di ciliegio
e ho pestato forte
per lasciare le mie impronte
nella terra bagnata
Un segno
fino alla prossima pioggia
testimonierà
che io
non ho dimenticato
***
Življenje
Ku tiste lieto
kar smo pustil na duzin
bukalino karamel na polic
an potle
kar nama je bla paršla voja
sredi polietja
kartine so ble že prazne
mrujeta
so ble znesle proč vse te dobre
brez de smo se zaviedel
*
La vita
Come quell’anno
quando abbiamo lasciato a lungo
una ciotola di caramelle sulla mensola
poi
quando ce n’era venuta voglia
nel mezzo dell’estate
le cartine erano ormai vuote
le formiche
si erano portate via tutto il buono
senza che ce ne fossimo accorti
***
Vietru
An samuo zauoj
tiste moré ki te je prebudila
z odpartimi oči
an s pieskan v niedrah
al
zauoj drobiža
ki je padu na glerjo mokro
z obarnjenin dežnikan
od slavih misli
an posebno
za tiste preliepe čerievje
ki ostajajo tu škatli
an ti kradejo sanjo
od tega ki je bluo moglo se godit
sada genji jo
genji jo pihat!
*
Al vento
Per colpa anche solo
di quell'incubo che ti ha risvegliato
con occhi sbarrati
e sabbia nel petto
o
per gli spiccioli
caduti sulla ghiaia bagnata
con l'ombrello rovesciato
dei cattivi pensieri
e specialmente
per quelle scarpe bellissime
che rimangono nella scatola
e ti rubano il sogno
di ciò che sarebbe potuto accadere
adesso smettila
smettila di soffiare!
***