- Antonio Merola
Poesia | Si prega girati di schiena di Giuseppe Todisco
Segnaliamo quattro poesie estratte da Giuseppe Todisco, Si prega girati di schiena (Collana Sottotraccia, Marco Saya, 2020) ________ Forse non sai, Irene
che si prega girati di schiena
e per sopravvivere bisogna amarsi
come i preti amano le ostie.
Dico forse, perché ti guardo
mentre studi i cromosomi
e invano cerchi qualcosa
che giustifichi il perdono.
Forse non sai, Irene
che nella migliore delle ipotesi
il nome di Dio lo impari a memoria
digitando interurbane dai telefoni a gettone.
Tu mi fai tornare in mente
lo spessore delle lettere imbucate,
gli indirizzi scritti a margine,
il sapore dei francobolli.
Ed è così che ti vorrei leccare
e spedirti chissà dove
ignorando confini e carte coloniali;
vorrei leccarti fino ai mitocondri
per capire se quel modo che hai
di mettere ordine tra le cose
lo hai ereditato da tua madre
oppure dai supermercati.
Lasciami qualcosa di tuo, Irene
perché verrà il regno
quando saremo tutti uguali
e allora non potrò distinguerti
come nel corpo di Cristo
non si distinguono le ossa. * Ripensavo all’idea di tenere dei platani
in giardino – metti che viene qualcosa
giù dal cielo e non ce ne accorgiamo.
Gira la terra e mi giro dall’altra parte solo per restare fermo e con un giorno
di ritardo chiederti se c’è ancora speranza
per giungere a domani.
Io per sempre, tu per quelle rose
che hai piantato, e il quesito si sposta
dal tempo allo spazio che occupiamo.
Però mia madre ha uno strano modo
di fare figli, che non mi fa sentire
il salto da un destino all’altro.
Ecco perché i platani, pensavo. Come se
bastasse un punto per capire dove siamo.
E invece lo sanno gli alberi che ci vuole
almeno un’ombra, perché la luce esiste
solo quando incontra i rami. * Il sole Franco la mattina presto,
la nonna che invecchiava dal balcone
la ringhiera verde.
Era per quella fede di terra e luce
che stavamo al mondo come l’edera
che lascia il muro e cade.
Dal Getsemani si poteva andare in bici
fino al fischio di tuo padre, ed era sempre
un cielo a smettere le braccia la strada
verso casa. Il buio a credere la notte che veniva
quasi un sacramento. Ma se qualcuno dice
“non come voglio io”, allora passi anche per noi
questo calice se restiamo svegli, affinché
di un figlio si possa comunque fare ammenda.
Il sole Franco la mattina presto, la nonna
che chiedeva dal balcone “dove siete stati”,
la folla che veniva come un ladro
a prenderci le spalle.
Mette gloria per domani la prima comunione:
fatti il segno della croce come i grandi. * Io e te
avremmo potuto
cosa?
Coniare neologismi,
sconfiggere i semafori.
Ma poi non è lo stesso
se le piogge acide
rovinano le aiuole
e tu stai dritta
per redimerci
ed io non ricordo bene,
cosa?
Allora verrò
nella tua città
denuclearizzata
per sognare meteoriti,
o per sorriderti
come quando
si fingeva
di essere felici.
Io e te
ci abbiamo messo poco
nonostante il bagliore
delle insegne luminose,
perché si vive appena
anche dove il buio
resta tra le ipotesi.
Io e te,
qualcosa ci avrà
pure spaventato
se abbiamo abbandonato
gli avamposti
per fuggire come cani
dai petardi.
Dunque, io e te
ma soprattutto
cosa?